Nel mondo del fitness e della palestra si sentono spesso consigli e luoghi comuni riguardo determinati range e posizioni articolari. Quando si parla di movimenti che coinvolgono la schiena, per esempio, l’avvertenza è sempre quella di mantenere la colonna in posizione neutra ed evitare variazioni delle curve fisiologiche, specialmente la flessione a livello lombare, per prevenire infortuni e dolore.
Del resto, la colonna ha sviluppato queste curvature nel momento in cui abbiamo assunto la postura bipede nel nostro percorso evolutivo, proprio per scaricare il peso evitando un’eccessiva sollecitazione dei corpi vertebrali.
Le stesse preoccupazioni emergono anche per la famigerata “cuffia dei rotatori”, quell’insieme di muscoli che svolge un’importante azione di stabilizzazione dell’articolazione gleno-omerale, i cui tendini verrebbero compressi durante determinati movimenti del braccio.
Una certa “accortezza” nel compiere determinati movimenti, specialmente sotto carico, appare assolutamente sensata.
- INDICE
Buon senso o iperprotettività?
Tuttavia, il buon senso spesso sfocia in un allarmismo immotivato, che impone standard rigidi senza tenere conto delle numerose variabili in gioco (un minuto di silenzio per tutti quei trainer che continuano a dire di non portare il ginocchio oltre la caviglia in squat e affondi).
Addirittura, qualche anno fa i famosi sit-up per gli addominali sono stati eliminati dalle prove di idoneità per l’ingresso nelle forze armate statunitensi proprio per l’eccessivo carico dato dalla continua flessione della colonna [1].
Non mancano, poi, i commenti critici degli utenti dei social sotto riprese di alzate massimali del powerlifter di turno o video con titoli clickbait di youtuber preoccupati che vi possano scoppiare le spalle.

Tralasciando la “biomeccanica for dummies” da fitness influencer, ci sono diversi punti su cui possiamo interrogarci e riflettere.
La flessione spinale è davvero il male assoluto? Se un’articolazione consente un determinato ROM, è giusto sfruttarlo a pieno? Oppure muoverci agli estremi del range articolare può farci incorrere in infortuni?
I fattori che definiscono il ROM
Le nostre articolazioni ci consentono un determinato range di movimento. Questo range è limitato dalle stesse strutture anatomiche (forma dei capi articolari, tendini, legamenti, muscoli, capsula articolare…) e da altri fattori come temperatura corporea, ora del giorno ecc.
La complessa struttura della colonna, per esempio, presenta articolazioni tra i corpi e i processi vertebrali che consentono un minimo range di movimento tra una vertebra e l’altra ma, nel complesso, conferiscono alla colonna stessa una buona libertà di movimento.
I dischi fibrocartilaginei, che fungono da “cuscinetto” tra i corpi vertebrali, ammortizzano in particolare modo le forze di compressione, mentre sono meno efficaci nel compensare le forze da taglio.

Che cosa ci dice la letteratura?
Se guardiamo la letteratura, modelli in vitro hanno documentato un potenziale rischio di danno discale in seguito alla ripetuta applicazione di momenti flessori/estensori a unità vertebrali di animale [2].
Inoltre, il fatto che le erniazioni nei pesisti protrudano, nella maggior parte dei casi, in senso dorsale, suggerisce che sollevare carichi importanti con un certo grado di flessione lombare esponga maggiormente al rischio di questo tipo di infortunio (il corpo vertebrale “spinge” dorsalmente il disco) [3].


I danni documentati dagli studi in vitro, però, si sono presentati in gradi di flessione che rappresentano appena il 35% del massimo range di movimento dei corpi vertebrali: questo grado di flessione è inevitabile in moltissimi gesti sportivi e quotidiani, da squat, kettlebell swing, salti, corsa, lanci e golf a semplici movimenti come allacciarsi le scarpe.
In più uno studio [4] ha dimostrato che, anche quando la flessione non è apprezzabile a vista e il soggetto si impegna a mantenere una posizione neutra, un certo grado di flessione lombare è sempre presente (tipicamente più di 20 gradi, corrispondente a più del 40% della massima flessione). Sarebbe più sensato parlare, quindi, di un “range di neutralità”, piuttosto che di una posizione specifica.
Si stima, poi, che il dolore alla schiena sia associato a ernia solo nel 2-5% dei casi [5]. La lombalgia, come tutte le forme di dolore cronico, non sempre è associata a un reale danno tissutale, ma è influenzata da molte componenti biopsicosociali.
Flessione spinale e rischio di infortunio nello sport
Secondo il già citato studio della Holder, una posizione più neutrale della colonna, contrapposta a flessione o iperlordosi lombare, sarebbe associata a una maggiore efficienza neuromuscolare [4].
In effetti, un movimento più “hip-dominant” può essere una strategia migliore in molte attività, per esempio nel sollevamento olimpico: difficilmente vedremo gradi elevati di flessione spinale in un weightlifter [5].
Molto raramente, invece, ci capiterà di vedere un powerlifter che esegue un’alzata massimale di stacco da terra con la schiena in posizione perfettamente neutrale. Sollevare un peso con la schiena flessa è metabolicamente più efficiente e permette una maggiore espressione di potenza [6].
Tuttavia, se guardiamo con più attenzione, possiamo notare come la flessione spinale di molti powerlifter nello stacco sia in realtà localizzata a livello toracico, associata a una protrazione attiva delle scapole. Inoltre, l’assetto di partenza con le spalle estese e portate avanti rispetto al bilanciere fa sì che il momento flessore esterno a livello toracico sia pressoché nullo [7].

Se poi guardiamo gli infortuni alla schiena tra gli atleti di powerlifting e pesistica olimpica, questi sono in realtà meno frequenti di quanto si potrebbe pensare: una review del 2017 [8] ha evidenziato come l’incidenza di infortuni in queste discipline sia relativamente bassa se confrontata con sport da contatto come lotta e football americano e comparabile a quella di altri sport senza contatto che richiedono forza e potenza, come atletica e sci alpino.
Sollevare carichi pesanti sembra essere invece una causa frequente di infortunio nella popolazione generale [9].
È evidente che un powerlifter possa sollevare 400 kg con la schiena flessa al contrario di un soggetto comune, che si farebbe male con molto meno, perché il suo corpo è condizionato per quel tipo di movimento.
Ecco, quindi, che emerge il primo fattore fondamentale alla base dell’insorgenza degli infortuni, ovvero la mancata gradualità nella progressione del carico.
Range articolari “pericolosi”: esistono davvero?
Non è solo la posizione della colonna vertebrale a destare preoccupazione. Molti gesti motori prevedono di portare le articolazioni in range considerati “scomodi”.
Pensiamo al nuoto: la posizione dell’omero in abduzione e intrarotazione, tipica della bracciata a stile, rana e delfino, è una di quelle considerate “pericolose” per le sindromi da impingement della spalla.
Ma non è forse lo stesso movimento che compiamo quando ci infiliamo una giacca o prendiamo qualcosa dal sedile posteriore dell’auto?
Recentemente, la letteratura ha messo in discussione la natura del rapporto tra sindrome da impingement e spazio subacromiale, di cui non si è ancora stabilita con certezza una relazione causa/effetto.
Un’interessante review del 2020 [10] ha evidenziato come la riduzione dello spazio subacromiale non causi una maggiore compressione dei tessuti molli, ma modifichi la porzione di tendine a contatto con le strutture ossee.
Un’altra review dello stesso anno [11], invece, ha negato la correlazione tra il dolore nella sindrome da conflitto subacromiale e la distanza acromion-omerale, suggerendo che ci siano altri fattori biopsicosociali coinvolti oltre all’entità dello spazio subacromiale nella sintomatologia dolorosa della spalla.
Una compressione dei tessuti molli a questo livello è sempre presente ed è quindi ipotizzabile che non sia tanto la posizione articolare (che influenza la distanza acromion-omerale) a causare lesioni di per sé, quanto una gestione errata dei carichi.
Pertanto, esercizi considerati “pericolosi” per l’angolo articolare utilizzato, se gestiti con progressione graduale del carico, possono avere perfettamente senso in una programmazione con finalità di prehab, e non solo in contesti sportivi specifici.
Che cosa possiamo concludere?
Mantenere le fisiologiche curvature spinali sembra rimanere un suggerimento sensato quando si sollevano carichi importanti, specialmente per lifter novizi, in quanto le forze di compressione e taglio in gioco sono elevate.
Se è vero che ci sono molti atleti che utilizzano tecniche “estreme” nel sollevare carichi importanti, è anche vero che le loro strutture anatomiche si sono adattate a quei movimenti in anni e anni di allenamento e, in ogni caso, la suscettibilità agli infortuni è un fattore altamente soggettivo e geneticamente determinato.
Allo stesso tempo, però, è appurato che portare le articolazioni in range “scomodi” sia inevitabile in moltissime attività motorie, sportive e non. Ha quindi poco senso preoccuparsi della flessione spinale in toto, ed è invece più intelligente rafforzare le strutture del movimento in tutto il range disponibile.
Del resto, il nostro corpo ha un’elevata capacità di adattamento.
Da una parte è vero che la ripetizione eccessiva degli stessi schemi può portare a sovraccarico. Molti atleti si infortunano per usura delle strutture coinvolte nei movimenti sport-specifici, sottoposte a carichi di lavoro eccessivi.
Ma, per quanto riguarda gli infortuni in acuto nella popolazione generale, è molto più probabile che si verifichino in una porzione del ROM in cui il nostro corpo non è abituato a trovarsi e a lavorare.
Di nuovo, quindi, un programma motorio sensato dovrebbe puntare a rafforzare tutto il range di movimento disponibile, in modo intelligente e contestualizzato e, soprattutto, tenendo conto di uno dei fattori più importanti per evitare gli infortuni, ovvero la gradualità dei carichi utilizzati.
Se vuoi approfondire quest’argomento, qualche anno fa abbiamo pubblicato un video con ulteriori argomentazioni soprattutto per quanto riguarda la flessione lombare nello squat. Lo trovi qui.
Bibliografia
[1] Ormsby, M. 20 Gennaio 2016. “The death of the sit-up.” Toronto Star. Consultato il 29 Novembre 2022. https://www.thestar.com/news/gta/2016/01/20/the-death-of-the-sit-up.html.
[2] Callaghan, J.P. e S.M. McGill. 2001. “Intervertebral disc herniation: studies on a porcine model exposed to highly repetitive flexion/extension motion with compressive force.” Clinical Biomechanics 16 (1): 28-37.
[3] Henselmans, M. n.d. Is spinal flexion actually dangerous when squatting or deadlifting? Consultato il 29 Novembre 2022. https://mennohenselmans.com/is-spinal-flexion-dangerous/.
[4] Holder, L. 2014. “The effect of lumbar posture and pelvis fixation on back extensor torque and paravertebral muscle activation.” Auckland University of Technology.
[5] Lehman, G. 31 Gennaio 2016. Revisiting the spinal flexion debate: prepare for doubt. Consultato il 29 Novembre 2022. https://www.greglehman.ca/blog/2016/01/31/revisiting-the-spinal-flexion-debate-prepare-for-doubt.
[6] Welbergen, E., H.C. Kemper, J.J. Knibbe, H.M. Toussaint e L. Clysen. 1991. “Efficiency and effectiveness of stoop and squat lifting at different frequencies.” Ergonomics 34 (5): 613-624.
[7] Nuckols, G. n.d. How To Deadlift: The Definitive Guide. Consultato il 2 Dicembre 2022. https://www.strongerbyscience.com/how-to-deadlift/.
[8] Aasa, U., I. Svartholm, F. Andersson e L. Berglund. 2017. “Injuries among weightlifters and powerlifters: a systematic review.” British Journal of Sports Medicine 51 (4): 211-219.
[9] Hoogendoorn, W.E., M.N.M. van Poppel, P.M. Bongers, B.W. Koes e L.M. Bouter. 1999. “Physical load during work and leisure time as risk factors for back pain.” Scandinavian Journal of Work, Environment & Health 25 (5): 387-403.
[10] Lawrence, R.L., J.P. Braman e P.M. Ludewig. 2020. “Shoulder kinematics impact subacromial proximities: a review of the literature.” Brazilian Journal of Physical Therapy 24 (3): 219-230.
[11] Park, S.W., Y.T. Chen, L. Thompson, A. Kjoenoe, B. Juul-Kristensen, B. Cavalheri e L. McKenna. 2020. “No relationship between the acromiohumeral distance and pain in adults with subacromial pain syndrome: a systematic review and meta-analysis.” Scientific Reports 10 (1): 20611.